Attori,
interpreti e atleti, registi e maratoneti. Cristian Giammarino e
Giorgio Lupano si presentano in una triplice veste agli spettatori della
Maratona di New York, pièce di Edoardo Erba, tradotta in numerose lingue e portata sulle scene di tutto il mondo.
Mario e Steve sono due amici che si allenano di notte per partecipare
alla Maratona di New York e senza sosta, nel silenzio del buio rotto
soltanto dalle stelle che disegnano imperscrutabili costellazioni,
raccontano e si raccontano. Corrono sul posto gli attori, a simulare la
corsa, e lo fanno per un'ora intera: alla fine è una più che discreta
prestazione atletica (oltre che autoriale)...
Invero la Maratona di New York in scena al Leonardo da Vinci è un'opera di grande drammaticità: le esistenze (di uno x due? O di uno : due?) si dipanano come la corsa inesausta nella notte oscura
e bruciante, fra ricordi e recriminazioni, amare dissolvenze, illusioni
e visioni. Flash in bianco e nero, la città sedimentata lontano,
sentimenti che svuotano l'anima nell'aria delle parole che volano al
ritmo della corsa.
Non ci sono altri, non presenze, solo pallide e pur nette evocazioni, il deserto spettrale di una strada di cui
non si scorge inizio né fine. Un panorama di solitudine rappresa. Mario
e Steve corrono corrono corrono... perché? Dove? Come? Quando? E chi
resterà chi diverrà?
«Lo
spettacolo non tradisce il testo originale» ha detto Edoardo Erba, «ma
lo rilegge, lo re-inventa, lo inserisce in una dimensione drammatica
nuova. La regia è modernissima, magistrale: passa indenne dai momenti
comici, senza sottolinearli e senza averne paura, e arriva diretta al
cuore del dramma fondendo incubo e realtà in una sola dimensione,
un'unica grande notte
stellata. Notte che gli attori attraversano con una spontaneità che
conquista e un'intensità che commuove. Difficile per il pubblico non
ridere e non avere i brividi […] La loro corsa è un gesto iperreale e
tuttavia compone un disegno preciso, espressivo e rigoroso. Che
ipnotizza e che coinvolge, lasciandoti alla fine un grumo d'amore e di
dolore da portare a casa, da elaborare con calma».
Un
lavoro oltremodo originale, un'ora sognante in una realtà sospesa, un
accenno a quei temi universali troppo spesso, nel quotidiano che mangia e
smangia, superficialmente e colpevolmente gettati nella spazzatura
dell'oblio.
Alberto Figliolia
Nessun commento:
Posta un commento